L’ultimo battito racchiude un mondo d’amore insieme

Articolo pubblicato su LA STAMPA il 12 Settembre 2024

Sto leggendo il libro di Irene Giurovich, giornalista, insegnante e attivista per i diritti degli animali, che racconta la sua vita con i suoi cani, Alfredo e Sparky. L’ultimo battito suggella a gli ultimi anni di vita insieme, tra malattie, interventi chirurgici, dubbi sulla vita dei due cani, gioie, dolori e tanto, tanto amore. Un legame forte e appagante che vede la felice giovinezza di Alfredo e Sparky e la fatica della vecchiaia. È il tempo dei due animali che lottano per vivere e della loro umana che si dedica loro, curandoli, assistendoli, implorando i medici veterinari di fare un miracolo per strapparli al loro destino di malati sofferenti, e concedere ancora giorni da passare insieme.È una biografia a due mani e otto zampe avvincente, profondo, con riflessioni sulla vita e sulla morte, sull’etica del fine vita, su quanto sia difficile dirsi addio .

La Volpe al Piccolo Principe che chiede cosa voglia dire addomesticare , risponde: «Vuol dire creare dei legami. Se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altra. Tu sarai per me l’unico al mondo, e io sarò per te l’unica al mondo».

Questa risposta sottolinea come il legame d’amore tra due esseri di due specie diverse, ha come principio cardine il prendersi cura, al di là di tutto, al di là della razionalità e dell’opinione degli altri.

Irene, dovendo ricorrere più volte alla chirurgia per i suoi due animali, scrive: «Qualcuno mi accusa di praticare accanimento. Da sempre avevo tentato ogni strada anche per gli esseri umani ammalati, anche al di là di ogni ragionevole confine. Del resto, se non fosse stato per qualche medico in fase di accanimento, non sarebbero state trovate le cure per la terapia intensiva, che nasce proprio dalla volontà di mantenere in vita le persone. Di andare, appunto, oltre il limite».

Giurovich ci mostra sotto un altro punto di vista il temibile accanimento terapeutico, ovvero l’andare oltre il limite delle conoscenze scientifiche per esplorare nuove frontiere e trovare nuove terapie che allunghino, nel rispetto della dignità dell’individuo, un legame così forte che non si vuole spezzare. Ma nel contempo evidenzia di non essere così egoisti da allungare di uno, dieci, trenta giorni una vita sofferente che non ha più la dignità di essere vissuta.

L’espressione «accanimento terapeutico» accosta il temine «accanimento», che significa persistere in un comportamento oltre il limite ragionevolmente consentito, al termine «terapeutico» che significa curare, combattere una malattia e quindi alleviare una sofferenza.

Non ci si può accanire a curare quando non ci sono speranze se le cure comportano sofferenza. Sarebbe infatti meglio parlare di «ostinazione irragionevole», espressione che fa comprendere meglio la definizione che ne viene data dal Comitato Nazionale per la Bioetica: «…consiste nell’esecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza…».

Oggi la medicina veterinaria dispone di mezzi diagnostici e strumenti terapeutici sofisticati che assicurano cure e possibilità di guarigione che sino a pochi decenni fa erano impensabili. A mio avviso è fondamentale unire i progressi tecnici e scientifici al «prendersi cura» di un essere vivente, che come scrive Irene «alle volte anche loro, seppur in condizioni critiche e drammatiche vogliono restare». Anche gli animali gravemente malati si aggrappano alla vita, si sforzano di mangiare o di alzarsi. Curarli, aiutarli con cure palliative, accogliere la loro sofferenza, ma anche la loro voglia di stare con le persone che amano e che li amano è sia un dovere come clinici sia un atto di immenso amore.

Franco Fassola